Love, Death and Robots è la prima serie antologica animata – per un pubblico adulto – di Netflix, che vede riunite le menti di David Fincher e Jushua Donen (già conosciuti per House of Cards e Mindhunter), curata da Tim Miller, regista della prossima pellicola di Terminator e di Deadpool.
La serie è composta da diciotto cortometraggi di una durata breve e variabile che non supera i quindici minuti circa. Le storie, tutte autoconclusive, sono basate sulle opere di autori affermati nel mondo della fantascienza, come Ken Liu, Joe Lansdale e John Scalzi. I singoli episodi sono stati realizzati da studi di animazione differente e hanno stili e generi differenti, ma ci sono degli elementi ricorrenti. Proprio per il suo essere una serie antologica, ogni episodio della serie è non è correlato agli altri ed è invece diversificato da una trama auto-conclusiva.
Come suggerisce il titolo, i tre elementi basilari della serie Love, Death and Robots sono l’amore, la morte e i robot. Le tre porzioni non sono però distribuite in modo equo tra di loro: l’amore, inteso come un sentimento di nobile altruismo, scarseggia. In compenso, la morte è presente in ogni episodio. I robot sono una presenza ricorrente su vari livelli di intelligenza artificiale.
La genialità di Love, Death and Robots, serie targata Netflix, sta forse proprio nel suo tentativo di voler proporre un prodotto che non segue alla lettera ciò che il pubblico di oggi si aspetta, anzi accetta il brivido del rischio e diventa ben lontano dall’essere un prodotto per un pubblico che tende a preferire delle serie TV composte da un indefinito numero di stagioni, saghe cinematografiche che durano decenni, e persino videogiochi divisi in stremanti capitoli. Love, Death, Robots apre dei veri e propri universi narrativi, su realtà differenti pensate dalle menti di creativi di tutto il mondo che hanno una durata brevissima e che lasciano un segno, uno spunto su cui riflettere.