Suspiria, Guadagnino e la rivisitazione del mito

Berlino, 1977. Susie Bannion (Dakota Johnson), una ragazza dell’Ohio, arriva nella capitale tedesca, invasa dal clima di terrore, per frequentare una famosa scuola di ballo femminile. La scuola si trova in un palazzo cupo dall’atmosfera sinistra, in cui aleggiano presenze inquietanti che terrorizzano le studentesse. Susie capisce di trovarsi in un luogo fuori dal normale quando la severa maestra Madame Blanc – interpretata da una impeccabile Tilda Swinton – le impone di andare oltre i propri limiti fisici per eseguire performance contorsionistiche al fine di ampliare le possibilità del fisico. Ma arti che si avvitano e schiene che si spiegano quasi fino a spezzarsi, per molte delle studentesse diventano un vero e proprio tormento. Gli scorci di una Germania alla fine degli anni Settanta, bagnata costantemente dalla pioggia e dall’orrore della banda terroristica Baader-Meinhof, il clima teso e l’atmosfera malinconica e plumbea, accompagnano esternamente l’altrettanto cupa e sinistra accademia.

Suspiria, Guadagnino e la rivisitazione del mito

Strutturato in sei atti e un epilogo, il film di Guadagnino non può essere considerato il remake del Suspiria cult di Dario Argento. È il risultato di ciò che lo stesso Argento ha scatenato nella mente di un Guadagnino che, fin da giovanissimo, si innamorò dell’originale. La versione di Guadagnino si muove in modo libero, lasciandosi ispirare e modellando con musica, immagini e colori quell’horror che ha terrorizzato generazioni intere.

Attraverso le mutazioni corporee del ballo e le proiezioni oniriche della mente, Guadagnino crea una visione che ipnotizza: il rosso, colore costante che attraversa l’intero film, accompagnato dalla crasi tra danza e morte; un esperimento della pop-art che prende forma davanti agli occhi dello spettatore. Guadagnino osa, delineando con tinte vigorose la figura centrale della donna, portatrice di vita e morte; un ritratto ambizioso, non convenzionale, estremamente moderno, quasi rivoluzionario.

Suspiria, Guadagnino e la rivisitazione del mito

Suspiria diventa una riflessione sul tema universale del male e del suo essere radicato inguaribilmente nell’esistenza umana. La vera rappresentazione fisica del male nel film è la Mater Suspiriorum, disumana nel senso che non appartiene all’uomo, ma ne abita la mente. Rappresenta un male a cui abbandonarsi quando l’altro male, quello umano e fisico del terrorismo nella tetra Germania dei ’70, si fa troppo nitido. La danza diventa quindi veicolo della rivelazione maligna nel mondo reale, il ballo accompagna le allieve e le rende parte di un rito primordiale. Con delle sequenze dotate di un impatto violentissimo, senza neppur versare una sola goccia di sangue, in cui i corpi delle ballerine, fragili, mutevoli e mostruosi allo stesso tempo, sono capaci di agghiacciare con un solo gesto, Guadagnino porta in vita una Suspiria in cui l’essenza dell’orrore ne fa da sovrana.

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